L’Epoca delle “Passioni Tristi” ovvero della “Felice Disperazione”

L’Epoca delle” passioni tristi” ovvero della “felice disperazione”

Riflettendo su Miguel Benasayag.

Oggi l’uomo ha di sé una strana percezione. Questi, infatti, non si percepisce più come soggetto attivo che decide, che sceglie, che si entusiasma o si indigna di fronte agli eventi, ma si comporta come un individuo che sceglie di essere il  meno infelice possibile, che sceglie di non scegliere, visto che ha perso ogni speranza nel futuro. Nel IX secolo, il progresso era visto come una necessità, il futuro non poteva che essere roseo e pieno di successi, oggi il futuro viene continuamente rimosso, perché questa percezione temporale desta solo sentimenti di dolore e tanto pessimismo. Dunque all’ottimismo tipico del primo ottocento subentra il pessimismo del XX secolo.  Il positivismo credeva nel progresso inevitabile, nella comprensione delle leggi della natura e della società per poter dominare gli eventi; Marx pensava ad una società di eguali, nella quale, scomparsa la proprietà privata, sarebbero finite tutte le disuguaglianze; Hegel sognava una corsa dialettica verso l’infinito, ed ogni tappa dell’esistenza avrebbe certo conservato il passato ma avrebbe anche segnato una tappa successiva nel cammino verso il “non ancora”. Se viene meno la fiducia verso il futuro, quelli che credono nella circolarità del tempo e “nell’eterno ritorno dell’uguale” sono da considerarsi fortunati, perché, in questa fede, trova giustificazione anche il male, il dolore e la mancanza di felicità. Mi viene in mente la tragica accettazione del proprio destino di F. Nietzsche. Oggi sul piano razionale l’uomo è cresciuto molto, nella ricerca ha fatto passi da gigante, ma lo scientismo genera tristezza e inquietudine. Diciamo che proprio questi  successi rendono l’uomo infelice, perché questi continua il suo viaggio verso il relativo, sempre più evidente e sempre più consapevole, per cui, i mali crescenti, come i conflitti sociali, i conflitti bellici, la prevaricazione dei più forti sui più deboli, la desertificazione di intere aree geografiche e i relativi movimenti antropici non fanno altro che peggiorare le condizioni di vita. Dov’è finito l’ottimismo e la fiducia nella ricerca e nella ragione umana? ……  Dunque cresce la razionalità, ma sul piano antropologico l’uomo perde di importanza e diventa sempre più un individuo che si accontenta di sopravvivere, cercando di schivare l’infelicità ed evitando di rincorrere la felicità. Nella migliore delle ipotesi si accontenta di fare proclami, senza concretizzare molto. Questo lo aveva, già, affermato  Freud, nel suo libro, del 1930, Disagio della Civiltà, in cui sosteneva appunto che l’uomo ha barattato la sua libertà per margini di apparente sicurezza. L’individuo è sempre più impigliato in una logica aziendale, dove occorre fare non ciò che piace a noi ma ciò che piace al mondo produttivo;  l’individuo è sempre più solo e lontano dagli altri e dipendente dai mezzi di comunicazione di massa;  l’individuo viene continuamente travolto  dall’utile e dal superfluo che certo gli migliorano la vita sul piano materiale ma non gli consentono di essere soggetto capace di entusiasmarsi, di agire, scegliendo. Anche nella didattica, è prevalsa la logica aziendale, ovvero la logica delle competenze. Ci chiediamo:  le competenze a vantaggio di chi?…..e se io sono competente in un settore, in un ambito, considerando la “liquidità” delle cose, dopo un periodo anche limitato, posso diventare incompetente, cioè competente in attività inutili!….. E allora la domanda sorge spontanea: quale futuro?  E’ amaro dirlo: Il nostro viaggio va verso il nulla possibile: un nulla che ti annulla senza mai annullarti del tutto. E’ doloroso ammetterlo, ma ciò ci sembra drammaticamente vero.  In un contesto del genere, le mie passioni non possono che essere tristi, sbiadite e le nostre scelte sono dettate dal contesto, da una massa informe fatta di individui. In questo contesto, né l’ottimismo né il pessimismo possono considerarsi risposte adeguate, se non vogliamo cadere come vittime sacrificali di un sistema che si assolutizza e ci ignora, perché dimentica le persone e la loro esistenzialità. Occorrerebbe, invece, riscoprire il valore della “gratuità del dono” che mi impone di decidere e di agire, mi impone, per scelta, di cercare l’altro senza nascondersi dietro il cellulare, mi invita ad aprirmi alla vita, mettendo al mondo dei figli; l’altro, riconoscente o non riconoscente, deve rispondere  alle mie sollecitazioni del dono. L’altra àncora di salvezza può essere la “territorialità”  in controtendenza alla globalità e l’atteggiamento costruttivamente critico e conflittuale, per mantenere desti la nostra coscienza e la nostra umanità. Il mondo è pieno di soggetti, ma il soggetto è svuotato. Che sia l’angoscia, il sentimento del futuro, perché solo questo sentimento terapeutico mantiene desta la nostra coscienza, aprendola al dono gratuito, alla vita come possibilità, alla vita come viaggio, mentre decido di viaggiare. Al punto in cui siamo è difficile, ma questa sembra essere l’ultima possibilità: avere la forza di meravigliarsi o di gridare alla rivolta – così Bruno – per non spegnersi nell’asfissiante sistema delle consuetudini,  delle forme e delle “passioni tristi”.