Il segreto della felicità reale – da Alain Badiau –

Il segreto della felicità reale

 

La felicità reale non coincide affatto con uno specifico traguardo.  Non esiste meta che ci possa garantire la felicità. Anzi, il giorno in cui un uomo dicesse a se stesso: ho raggiunto la felicità, dopo aver realizzato un determinato sogno, in quel preciso momento, la felicità svanisce. Non sono le difficoltà che ci  mettono in ginocchio, pregiudicando la felicità; non sono le sventure che ci rendono infelici a tal punto da trasformare la nostra vita in qualcosa di oscuro. Ciò che ci rende infelici è l’assenza di desideri, l’assenza di progetti, ovvero lo spegnimento in noi di ogni immaginazione per il futuro per noi e per gli altri, l’assenza di affetti che rende grigie le nostre giornate. Non esiste traguardo che si possa definire perfetto, dunque la felicità finisce nel momento in cui, paghi di noi stessi, non ci ripromettiamo alcun altro traguardo. La felicità, può sembrare strano, è sempre proiettata verso il “non ancora”, verso il possibile, verso ciò che io non conosco, verso ciò che ancora non ho realizzato, verso un sentimento che non ho mai provato. Se il nostro cuore e la nostra mente sono proiettatati verso il futuro, sentiamo le cose in modo diverso, ci rapportiamo con gli  altri, nutrendo fiducia ed alimentiamo la forza di amare. Sembra strano, ma la vera felicità ce la offre la filosofia, perché ci mette di fronte ai nostri limiti, che dobbiamo tentare di superare continuamente, raggiungendo solo piccoli traguardi intermedi che rimandano ad altri ed ad altri ancora. Non sono importanti i risultati ma  il modo, l’impegno, la forza emotiva, le nostre energie  che profondiamo nella ricerca. Questi e solo questi  ci rendono felici. Possiamo anche non raggiungere alcun risultato, certo sembra  paradossale, ma il fatto che ci abbiamo solo provato con tutte le nostre forze, ci rende comunque felici. La felicità, ovviamente,  non è fatta solo di pensiero, ma soprattutto di sentimenti, emozioni,  immaginazione e sogni. Posso essere  sconfitto,  ma è stato meraviglioso aver provato il fascino della ricerca. Questa esperienza primordiale, che  è proprio dell’essere umano, mi rende felice. In tal senso, la nostra finitudine più che essere un handicap è da considerarsi una risorsa, perché la sua consapevolezza mi spinge verso il “non ancora”,  verso il mistero che ci sovrasta. Va vissuto, dunque, il tempo nella sua triplice dimensione: il presente del passato, il presente del presente e il presente del futuro.