Proverbi e detti popolari di S. Angelo le Fratte – Parte 1 –

Proverbi e detti popolari di S. Angelo le Fratte 

 

  1. ‘mpara l’art’ e mitt’la ra part’

Impara un’arte e mettila da parte.

Occorre imparare a fare più cose nella vita, per essere autonomo, innanzitutto, e poi, per sopravvivere, in caso di necessità.

 

  1. ‘ncoppa a n’autara arrujnata, nun s’appicc’n’ cannel’.

 

Su un altare rovinato, non si devono accendere candele.

E’ inutile accendere candele su un altare rovinato, perché non sarebbe oggetto di culto da parte di nessuno; sarebbe perciò un atto di devozione inutile, perché fatto senza finalità alcuna. A che serve perorare una causa che non abbia alcun senso?!….

 

  1. A ‘bbuon’ cavall’ nun manch’n’ sell’

 

A un buon cavallo non mancano selle.

Quando il cavallo è buono, cioè  di razza, non gli mancano ammiratori, acquirenti, per poterlo comprare e cavalcare. L’allusione era rivolta alle belle ragazze. Queste, se belle, sicuramente verrebbero corteggiate e non lasciate zitelle.

 

  1. A carn’val’ ogn’ scherz’ val’

 

A carnevale ogni scherzo vale.

E’ un proverbio molto conosciuto, un po’ ovunque, e mette in evidenza come a carnevale non bisogna tenerci per eventuali scherzi o comportamenti fuori dal comune, perché è la festa che lo richiede. Il carnevale è la festa della trasgressione, dove ognuno può dare libero sfogo alle tante inibizioni che subisce, durante l’anno e, celandosi sotto la maschera, può, garbato modo, esprimerle, proprio in questa circostanza.

 

  1. A chi nun ten’ figl’, nun ghij né p’ grazia e né p’ cunsigl’

 

Dalla persona che non ha figli non andare né per grazia né per consigli.

Non ti rivolgere, in caso di bisogno, a persone che non hanno figli, perché queste, non avendone avuti, non avrebbero sviluppato quel senso di umanità necessario per dare attenzione ai problemi altrui. E poi, chi non ha avuto figli, rimane pur sempre una persona frustrata e ciò lo renderebbe, secondo il proverbio, poco sereno con gli altri, se non addirittura geloso della sorte altrui; anzi della disgrazia degli altri sembra provi cinico piacere.

 

  1. A chiang’ lu muort’, so lacr’m’ pers’-

 

A piangere il morto sono lacrime perdute.

Le persone bisogna volerle bene da vive, non piangerle da morto, perché tutto ciò è inutile. E’ comprensibile piangere la persona cara estinta, ma talvolta è solo un modo per apparire contrito all’opinione pubblica.

 

  1. A chi nun fac’ perr’t’, nun li guardà lu cul’

 

A chi non fa scorregge non gli guardare il culo.

Il culo, si sa, ha una funzione particolare e, se per una ragione qualsiasi, questa funzione non viene assolta, vorrà dire che c’è qualche problema. Sarà un culo inefficiente che non deve essere preso in considerazione. Fuori dal senso letterale, un uomo che non concretizza niente nella vita è meglio non prenderlo a modello.

 

  1. Addò ver’ e addò ceca

 

Dove si vede e dove si acceca.

Molto spesso, si usa particolare attenzione per delle persone anziché per altre, per un figlio anziché per un altro. Per alcuni, anche se ti si mostrano irriconoscenti, tu continui a far loro del bene, ad usar loro simpatia, mentre per altri ti “accechi” cioè non riesci a guardarli con l’occhio della logica,  della bontà e soprattutto dell’amore.

 

  1. Addò cant’n’ tanta add’, nun fac’ mai juorn’.

 

Dove cantano tanti galli non fa mai giorno.

Spesso, in famiglia, in una comunità o in una associazione, dove sono in tanti a parlare, non si riesce mai a prendere una decisione, perché emergono troppi interessi contrastanti, troppe divergenze, troppi gelosie e, alla fine, non si riesce a fare sintesi. Molto più opportuno che siano in pochi a decidere, per meglio coordinare gli interessi di tutti.

 

  1. A la cann’lora, si nev’ca e si chiov’, la v’rnata è assuta fora.

 

Alla candelora, sia che nevichi, sia che piova, l’inverno è da considerarsi finito.

Alla ricorrenza delle ceneri, abitualmente, i rigori invernali sarebbero finiti. Il proverbio ha una forte coloritura bene augurante. Bisogna ricordare che i nostri nonni affrontavano l’inverno con notevoli difficoltà, perché, talvolta, mancava la legna per il focolare, talvolta mancava il cibo, e, poi, le case non offrivano certo confortevole riparo, come le nostre, oggi, alle escursioni termiche. Allora era auspicabile che l’inverno finisse prima possibile, bene se alla candelora.

 

  1. A la casa r’ p’zzient’ nun manch’n’ tozz’

 

Alla casa dei pezzenti non mancano tozzi (di pane).

Nelle case della povera gente non c’è mai stata abbondanza di beni, ma non è mai mancato il pane, tanto da poterne offrire all’ospite occasionale. Un tempo, alla persona di passaggio, si offriva il pane come un bene prezioso. Era quello un segno di grande senso di ospitalità e di benevolenza nei riguardi della persona ospitata. Successivamente, insieme al pane, si offriva il vino, poi il salame.

 

 

  1. A la fera r’ Mont’m’lon’, mor’ prima l’ain’ e po’ lu munton’

 

Alla fiera di Montemilone, muore prima l’agnello e poi il montone.

Spesso succede che muore prima la persona giovane e poi la persona anziana. Era questo il modo per scongiurare la morte da parte degli anziani, quando, per scherzo, i più giovani auguravano loro di morire il più presto possibile.

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  1. A la noc’ – ress lu sorr’c’ –  ramm’ tiemp’ ca t’purtos’

 

Alla noce – disse il topo – dammi tempo che ti buco.

Anche le cose impossibili diventano possibili col tempo, con la pazienza e la perseveranza dell’azione. Le mete possono essere tutte raggiunte, purché commisurate alle nostre possibilità e l’impegno sia profuso con tanta passione e costanza.

 

  1. A la squagliata r’ la nev’, s’ ver’n’ li strunz’.

 

Quando la neve si scioglie emergono gli stronzi.

Le persone di male affare si camuffano, si mimetizzano, tanto da sembrare buone e docili. Però, quando va via loro la maschera, essi mostrano, quanto viscide siano, cattive e inaffidabili, tanto da poterli  assimilare agli stronzi.

 

  1. A lavà la cap’ a lu ciucc’ s’ perd’ tiemp’, acqua e sapon’

 

Lavare la testa all’asino si perde tempo, acqua e sapone.

E’ inutile preoccuparsi delle persone ostinate e poco flessibili, perché tanto esse non cambiano mai opinioni. Essere ignoranti vuol dire non saper ammettere i propri limiti e i propri errori. La grandezza dell’uomo sta proprio nella consapevolezza dei propri limiti. Gli ostinati, come gli asini, non cambiano mai e soprattutto non accettano le opinioni e le correzioni degli altri. La domanda è d’obbligo: a che serve lavare la testa dell’asino, se, dopo qualche minuto,  se la insozza di nuovo?