Gli altri sono indispensabili alla nostra vita. Aveva ragione Aristotele nell’affermare che l’uomo è un animal politcum ovvero un animale sociale. Il nostro modo di pensare si spiega sempre in relazione ai pensieri altrui; le nostre valutazioni sono sempre fatte in relazione ai giudizi altrui; i nostri vissuti hanno un significato sempre in relazione ai sentimenti altrui; quando ci auspichiamo il successo, in un determinato settore, questo mai si potrebbe realizzare senza gli altri; se le mie ambizioni guardano al potere, alla gloria, il consenso degli altri diventa indispensabile. La solitudine ci fa paura, ma se ci fa paura, ammettiamo implicitamente quanto gli altri siano importanti alla nostra vita. Questa condizione esistenziale ci rimanda inevitabilmente agli altri. Insomma, la nostra solitudine non costituirebbe per noi un problema, se gli altri, per assurdo, fossero assenti dalla nostra vita. Insomma, io soffro la solitudine, perché implicitamente sento il bisogno di comunicare, di esprimermi, di valutare, ma soprattutto di amare. L’altro può costituire un fastidio, un disagio, ma io ho comunque ho bisogno del suo fastidio e del suo disagio per vivere, perché la sua presenza, per quanto ci possa risultare scomoda e impegnativa, ci consente di reagire, in altre parole, di vivere; magari gli altri ci fanno soffrire, ma è molto meglio soffrire per mano altrui, anziché consumarci nella nostra solitudine. Il giudizio degli altri ci disturba, la presenza degli altri mi comporta disagio, ma la nostra reazione al fastidio ci rende vivi, e, comunque, presenti al pensiero altrui.