Riflessioni su Leibniz

Leibniz si pone il problema di come conciliare la Philosophia perennis con i  Philosophi novi. Ma chi sono i filosofi nuovi? Eccoli: Cartesio e Spinoza. Per Cartesio la res extensa, altro non è che una macchina il cui movimento costante non ha alcuna finalità. Questa non è possibile misurarla e poco si concilia con la matematica e con le esigenze moderne della ricerca scientifica. La materia dunque si muove di moto costante e lo stesso non è originato da nessuna causa esterna. Lo spazio è da considerarsi, secondo Cartesio pieno e oggettivo e la conoscenza della materia è possibile grazie alla pregnanza del pensiero di estensione da cui possiamo fare tutte le possibili deduzioni. La quantità di movimento dunque è uguale alla massa moltiplicata la velocità secondo la nota formula: m.v. La realtà, dunque, è fatta di massa e movimento costante senza fine. Ma in questo contesto non c’è spazio per la libertà del singolo individuo, perché diventa tutto sistema, determinismo, in cui è impossibile distinguersi. Per il sistema di Spinoza, Deus sive Natura, dove Dio coincide con la natura, quest’ultimo diventa ordine geometrico necessario. Una tale premessa metafisica vorrebbe dare una consistenza ontologica all’ azione etica e vincere le incertezze fatte emergere da Cartesio con la morale provvisoria. Invece, abbiamo, nel sistema spinoziano, da seguire un appetito, che è quello dell’autoconservazione, perché questa è la legge della conservazione del tessuto connettivo della Natura.  Quando questo appetito è consapevole allora viene definito cupiditas. E’ proprio da questa che nascono gli affetti primari: la letizia o la tristizia, da questi gli affetti secondari come amore o odio, coraggio o viltà e cosi via. Per auto – conservarsi, l’uomo deve però emendare il suo intelletto da passioni quali il desiderio smodato per le ricchezze, i piaceri e il potere. Deve cioè operare come passioni, come appetiti ma anche con il lume della ragione e convincersi che è etico tutto ciò che mira alla salute dell’uomo sociale. Ma come può l’uomo scegliere, se parte di un sistema necessitato, da una le legge intesa in modo deterministico?  Leibniz, allora, prova ad immaginarsi un sistema in cui le creature debbano considerarsi contingenti. La contingenza è l’esatto contrario del sistema. La metafisica di Leibniz immagina che l’universo sia formato da un numero infinito di creature e queste da monadi, le quali sono da considerarsi come forze vive, oggi, noi le potremmo chiamare  centri di energia cinetica. Ognuna di queste avrebbe una sua essenza e una sua specifica causa finale. Ritornano dunque, per recuperare la libertà del singolo, le due cause aristoteliche che appartengono alla filosofia perenne. Le singole monadi non sono assoggettate ad un moto costante ma accelerato. Da queste premesse, risulta essere meno importante la massa rispetto alla forza originaria. Le conseguenze sono diametralmente opposte a quelle dei filosofi nuovi: Lo spazio non è pieno e quindi non è oggettivo, il tempo è soggettivo e diventa la misura del movimento, le leggi della meccanica diventano leggi di convenienza e il sistema non formato di necessità ma da infinite monadi con infinite entelechie che armonicamente “cospirano” tra loro senza che si condizionano reciprocamente, perché la monade delle monadi ha pensato all’armonia prestabilita tra esse, come lo scrittore di uno spartito musicale per la sua orchestra. Le monadi percepiscono e appetiscono, ma solo poche monadi appercepiscono e queste sarebbero le anime razionali. In questa maniera si garantirebbe la libertà delle singole monadi, la loro diversità e al tempo stesso l’armonia, come in una grande orchestra tutti i musicisti suonano strumenti diversi, creando insieme l’armonia universale, come tanti punti luminosi in una notte fonda, ognuno arde per sé, ma insieme danno l’idea di una viva città.

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