Breve relazione storica sulla chiesa madre di Sant’Angelo le Fratte

La chiesa madre di Sant’Angelo le Fratte, un tempo menzionata come  S. Maria Maggiore, poi S. Maria ad Nives, oggi, chiesa parrocchiale,  dedicata al Sacro Cuore e S. Michele, patrono del paese, un tempo, fu cattedrale per la presenza dei vescovi della diocesi di Satriano, prima, a partire dal 10 gennaio 1421 e Satriano e Campagna, dopo, dove fu, poi, trasferita anche la sede episcopale, a partire dal 1525. Nella cittadina, i vescovi che vi operarono, quasi in  pianta stabile, a partire dal 12 febbraio 1610, fino al 1790, furono sette e, precisamente, in ordine di tempo: Alessandro Scapio, Costantino Testi, Giovanni Caramuel Lobkovvitz, Domenico Tafuri, Girolamo Prignano, Francesco Saverio Fontana, e ultimo Marco De Leone. Il destino della chiesa madre è strettamente legato alla presenza, più o meno costante, dei vescovi e ai diversi terremoti che ne hanno segnato, nel tempo, lo stato di salute. Quando nel 1430 fu distrutta la Torre di Satriano, si pensa ad opera della regina Giovanna 2, molti profughi si trasferirono nel territorio di Sant’Angelo, impervio, ma ricco di acque e pietre,  cominciarono a costruire il primo nucleo urbano, ovvero i primi “fuochi”, intorno ad una cappella detta dell’Angelo, già esistente fin dal 1200, in un luogo non ben precisato, ma di proprietà della famiglia Mangieri ed ancora esistente nel 1888. Di questa cappella, oggi, non vi sono tracce e notizie. La chiesa venne eretta nelle dimensioni e nelle forme architettoniche vicine a quelle attuali, su un terreno donato dalla famiglia Giachetti, da Monsignor Costantino Testi, il cui mandato vescovile va dal 24 Febbraio 1628 al 30 giugno 1637. Questi fu sepolto nella chiesa, all’epoca denominata S. Maria Maggiore, in mezzo al presbiterio, con una lapide, ancora esistente, con su incisa un’iscrizione che ne riassume il merito. L’epigrafe  inizia con queste parole: “Testius hic situs est…..” La chiesa subì notevoli danni per effetto del terremoto, avvenuto l’8 settembre 1694, riparata ad opera del vescovo Girolamo Prignano, rimasto in loco  dall’11 marzo 1680 fino alla sua morte, avvenuta il 1 agosto 1697. Lo stesso vescovo fece edificare il convento; dalle fondamenta, un piccolo Seminareolum e, infine, accomodò l’episcopio, rovinato dallo stesso terremoto. Il vescovo Francesco Saverio Fontana, 11 marzo 1680, 20 settembre 1736, fece realizzare il  trono ligneo dorato, appoggiato al pilastro che sostiene l’arcata sinistra che delimita l’area dell’abside; lo stupendo altare maggiore in stile barocco spagnolo ai cui lati svettano due vistose cornucopie; la balaustra del coro, realizzato da Leonardo Carelli del Vallo di Novi e il coro realizzato da Nicola La Sala di Potenza (1726); due quadri in cima al coro, uno rappresentate la turca nell’atto del battesimo,  l’altro il Poverello di Assisi, la grande tela rappresentante la lapidazione di S. Stefano protomartire, realizzato dal pittore Michele Ricciardi di Penta (1672 – 1753) e restaurato nel 2012. La Chiesa poi, nel tempo, ha subito danni gravi con i terremoti dell’1 febbraio 1826, il 16 dicembre 1857, il 23 novembre 1980, ma è stata sempre ricostruita o semplicemente riparata con denaro pubblico,  offerte da parte dei cittadini e l’interessamento da parte di vescovi e sacerdoti, in tal senso va ricordato lo spirito di intraprendenza dell’allora parroco Don Francesco Caggiano in occasione del terremoto del 1857, perché, ieri come oggi,  il tempio rappresenta, per le popolazioni locali, un elemento identitario di forte incidenza. Ultimamente, a partire dal novembre 2011, la chiesa è rimasta chiusa al culto per lunghi e laboriosi lavori di riparazione e restauro, a causa di forti infiltrazioni dì acqua dovute al tetto dissestato e alla presenza di lesioni diffuse. L’interno della chiesa si presenta a tre navate; la navata centrale è divisa dalle navate laterali da tre opposte arcate, poggianti su pilastri di base quadrata in muratura e quattro grandi arcate che, poi, delimitano l’abside la cui alta volta centrale si presenta a cupola, su cui sono dipinti i quattro evangelisti; i due cappelloni laterali, sui lati opposti dell’altare maggiore, formano i bracci della croce latina; nel cappellone  di destra trovasi il simulacro del Sacro Cuore, mentre in quello di sinistra il simulacro ligneo di S Michele Arcangelo, realizzato dallo scultore Nicola Fumo, nella prima metà del 700, e rappresenta il santo con la spada sguainata nella mano destra, nell’atto di ricacciare lucifero nell’inferno, lasciando immaginare al devoto le bibliche parole: quis ut deus?, mentre, con la mano sinistra, mostra un  bilancino, a monito dei peccatori . Avamposto alla navata destra, per chi guarda, si erge il campanile ad angolo retto rispetto alla facciata principale,  e si presenta con tre piani cubici degradanti, con torre campanaria con quattro aperture e tre campane. All’interno della chiesa vi si trovano due massicci bacili di pietra marmorea di pregevole fattura che poggiano su piedistalli sinuosi, con zoccolatura quadrangolare e poi la grande tela (2,20 x 2,70) che rappresenta la Madonna del Rosario, con 15 quadretti laterali, piccoli capolavori pittorici che rappresentano altrettanti misteri propri della teologia cristiana. L’opera è attribuita a Giovanni de Gregorio, meglio conosciuto come il Pietrafesa, datata 1630 . La devozione della comunità al Santo si perde nella notte dei tempi, al punto che fu scelto come immagine sul gonfalone del comune e continua ad esserci; gli fu dedicata la storica fontana, a valle del paese, riedificata, perché danneggiata nel tempo da continue frane, nel 1834, come voleva l’epigrafe scolpita nel mezzo;  di recente, gli artisti dell’APV, lo hanno ritratto in due diversi murali e lo scultore Pierfrancesco Mastroberti, nel 2009, ha scolpito, in suo onore, un mega – simulacro in bronzo di 3 metri di altezza che,  posto in alto al centro abitato, lo domina e, come la devozione vuole, lo protegge.

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