Il coraggio di fronte all’Angoscia di M. Heidegger

L’esistenzialismo, deriva della parola ex-sistere, che vuol dire trascendersi, vivere, proiettandosi sempre e continuamente fuori di sé, nel tempo. Vivere vuol dire evadere continuamente dalle condizioni del presente, per aprirsi al futuro. Assumiamo cioè continuamente  atteggiamenti di estasi che letteralmente significa: uscir fuori di sé. Il pensiero nella coscienza non può che generare sentimenti, vissuti, a volte lineari, a volte contrastanti. Ecco perché l’esistenzialismo si colora di vissuti profondi: la vita è sofferenza, è assurda, perché non approda a nessun traguardo che noi immaginiamo importante (vedi il mito di Sisifo), l’uomo vive continuamente una vita inautentica, perché continuamente proiettato fuori di sé, gettato nel mondo, sentendosi padrone del mondo, utilizzando tutto in relazione ai suoi progetti. Si affaccenda tanto e poi finisce col chiudere la sua odissea con un scacco matto.  Alla domanda: perché morire?  non c’è risposta e ciò genera un senso di smarrimento, di paura, eppure  il sentimento della morte sarebbe l’unico sentimento capace di farci vivere la nostra vita a misura d’uomo, perché ci restituisce al nulla, al non senso delle nostre azioni, all’unica possibilità di tutte le possibilità, cioè la morte. Poi c’è il dramma della libertà, perché è vero che siamo liberi, ma questa ci riempie di responsabilità, ci costringe a progettare, ci costringe a vivere tra le cose e sceglierle, ci costringe a vivere con gli altri, prendendoci cura di loro, ma sempre e solo alla luce di un nostro progetto, ignorando che bisognerebbe prendersi cura di loro, perché imparino a prendersi cura. Se il nostro rapporto con gli altri  è inautentico, esso si esprime nella chiacchiera, nell’equivoco e nella curiosità. Quando noi usiamo, e ciò lo facciamo spesso, il si dice, questo è il chiaro segno del nostro marcato solipsismo. Solo il sentimento, ovvero, la predizione della morte ci restituisce alla normalità. Sarebbe un miracolo essere uomini normali!….La morte sarebbe la vera possibilità dell’uomo, grazie alla quale tutte le altre possibilità sono impossibili. L’Essere che la metafisica classica, da Platone in poi,  ha voluto ridurre a oggetto, in realtà si disvela all’Esserci che è l’uomo. Dunque l’uomo non è il protagonista della verità, come vorrebbe la metafisica classica, la quale, in realtà, si sarebbe comportata come fisica, secondo Heidegger. Il Dasein, cioè l’Esserci, è ente, ma non solo, perché è speciale, perché è si colui che interroga le cose, ma è anche colui che è interrogato. L’uomo dunque si sente come gettato nel mondo, in der-welt-sein, con i suoi mille progetti e sente le cose come utili o inutili, vivendo così alla stregua delle cose, vittima delle cose anche se crede di essere padrone del mondo. Che grande illusione!….Questa sarebbe la deiezione umana: l’uomo alla stregua delle cose!…. L’uomo è anche l’Esserci con gli altri, mit-sein. E’ innegabile che noi ci prendiamo cura degli altri. Ma qual è l’atteggiamento giusto, perché i nostri rapporti siano autentici? Occorre non considerare gli altri strumenti utili per i nostri progetti, insomma non bisogna solo prendersi cura, quando occorre, degli altri, ma occorre prendersi cura perché gli altri si sappiano prendere cura di sé, aiutarli insomma a rendersi protagonisti della loro vita. L’uomo scopre i suoi limiti, la sua nullità solo con la predizione della morte.

 

Da tutto questo scaturisce quanto segue:

 

Il coraggio di vivere l’angoscia che altro non è che la consapevolezza della nostra finitudine.  La paura di perdere qualcosa o qualcuno è il chiaro segno che la nostra vita è inautentica, che la nostra vita è legata alle cose, al successo, alle finzioni, al potere, vivendo tra le  cose, nelle cose e dipendendo dalle cose;

 

Il tempo lo viviamo come estasi: viviamo del passato come fonte di suggerimenti, di modelli che vogliamo riproporre; il futuro come proiezione in virtù di quello che voliamo realizzare, il presente nel quale ci sentiamo trascinati dalle cose, dagli eventi, dalle circostanze, dai compromessi, dalle gelosie, dall’arrivismo; in tutte e tre le dimensioni del tempo è come uscire fuori di sé,è come alienarsi ignorando se stessi e la propria finitudine;

 

La metafisica occidentale ha obliato l’Essere, perché esso si disvela (vedi Parmenide, Eraclito, Anassimandro) solo nel linguaggio della poesia; all’esserci occorre solo rendersi libero a farsi lambire dalle onde dall’Essere; in questo consisterebbe la Kehre del secondo Heidegger (a partire dal 1937, in Holderlin e l’essenza della poesia);

 

La scienza occidentale, ovvero il linguaggio scientifico, non si è minimamente preoccupato dell’Essere, ma solo degli enti, ovvero delle cose, raggiungendo traguardi considerevoli ma non sempre positivi per l’umanità, anzi il più delle volte letali e devastanti: armi atomiche, devastazione del pianeta, manipolazione genetica e altro. A noi, dunque,  solo il compito di essere pastori dell’Essere, attraverso la contemplazione. L’Essere si disvela nei sentimenti più che nei pensieri, nel linguaggio della poesia, ove batte in segreto il mistero della vita. (Introduzione alla metafisica 1956)

 

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