Viaggiare è l’essenza della vita

Viaggiare non è solo la metafora ma l’essenza stessa della vita

Viaggiare è rischioso ma è altrettanto rischiosa la stasi nel porto che si ritiene sicuro.  Conviene, dunque, viaggiare, per incontrare la vita degli altri.

 

Secondo un detto ricorrente, la vita somiglierebbe ad un ponte da attraversare, ma bisogna stare attenti a non costruirvi nulla sopra. Perché? Il ponte non è duraturo ed è soggetto a rapide trasformazioni; la sua esistenza è fluida come il fluire delle acque sottostanti. Dunque non bisogna costruire, perché, in tal caso, tutto sprofonderebbe insieme al ponte, in un tempo sicuramente breve e, comunque, a noi ignoto; ma è necessario attraversarlo, per andare oltre il presente, oltre se stesso, oltre il proprio ambiente, oltre la propria patria ed incontrare gli altri. Ecco l’essenza della vita: l’essere continuamente in viaggio, inseguendo “virtute e canoscenza”. Chi pensa di raggiungere un traguardo e poi adagiarsi, soddisfatto, rimarrà sicuramente deluso. Il non essere mai soddisfatto di se stessi e trascendersi continuamente, in questo consiste il segreto della vita. L’uomo non può, anzi non deve avere una patria, ma deve vivere come uno straniero in patria. Una vasta letteratura epica e spirituale mette bene in chiaro tutto questo. Ulisse parte da Troia, dopo aver contribuito a distruggerla con un inganno,  si avventura in mare. Avventure, le sue, tutte fallimentari, per raggiungere Itaca. Ulisse la raggiunge, abbatte i Proci, poi, certo,  potrebbe arrendersi alla vita, vivere nella sua reggia e contribuire alla felicità di Penelope e del suo popolo, dopo così  lunga attesa, invece non si rassegna alla stasi. Lasciarsi vivere, arrendersi alla sua patria, alla sua famiglia, lo renderebbero insoddisfatto.  Deve, perciò, riprendere un viaggio dagli esiti impossibili, oltrepassando anche le colonne d’Ercole. Sa benissimo che è una impresa impossibile la sua, la terra è piatta e, oltre quei limiti imposti da Dio, c’è solo il vuoto. Ulisse, incurante di questo divieto e sprezzante del sicuro pericolo, incoraggia la “picciola compagnia” a vivere, inseguendo la virtù e superando il bruto che è in noi. Tentare di andare oltre i propri limiti, ecco il grande bisogno esistenziale dell’uomo. Dedalo osò costruire delle ali  che poi attaccò al corpo di suo figlio, Icaro, con la cera;  lo incita a  volare ed andare oltre le proprie forze, oltre i propri spazi, oltre il proprio tempo; ma con l’avvicinarsi troppo al sole, la cera si scioglie e precipita proprio come quelli che costruiscono su di un  ponte, alla prima piena tutti i sacrifici umani vanno in fumo. Plinio il Vecchio, pur sapendo di morire, osa sfidare le eruzioni del Vesuvio, perché la sete di sapere va oltre i nostri miserabili confini e le nostre quotidiane convenienze. Prometeo sa benissimo di subire la vendetta degli dei, mettendo in atto un suo progetto accarezzato da tempo: portare il fuoco agli uomini, unici, tra gli esseri viventi, indifesi sulla terra, perché ignorati da Epimeteo. Gli uomini, così, possono riscaldarsi e, con questo, coltivare l’arte della meccanica, per mezzo della quale essi costruiscono sì gli strumenti per vivere ma anche quelli per uccidere. Prometeo viene punito ad una consumazione perpetua del fegato da parte di un’aquila, mentre gli ricresce continuamente. Sisifo, condannato per aver ingannato, più volte e in vario modo, gli dei,  a rotolare una pietra su per una collina nel mondo dei morti, e, appena in cima, la pietra ricade nella valle della morte e tutto ricomincia senza fine, con un sacrificio assurdo e insignificante. Eppure,  noi condannati alla libertà, non possiamo fare a meno di rotolare la nostra pietra, il nostro destino, l’inclinazione a viaggiare. Io non cerco le cose – diceva  Pascal – ma cerco il cercare delle cose, perché il presente mi infastidisce, non mi soddisfa, a prescindere le condizioni, e cerco l’evasione, proiettandomi nel futuro. Non sono le cose che mi interessano, ma il bisogno di cercare qualcosa, pur di non subire passivo le vicende della vita. Abramo viene spinto dal Signore a cercare la terra promessa per il suo popolo, ma ad essa non ci arriva mai. Anche se il popolo ebreo, un giorno, la troverà, sicuramente dovrà contenderla con  altri popoli. Nella vita, niente può essere considerato come traguardo definitivo. Il signore avverte Abramo, il giorno in cui il mio popolo avrà la terra promessa, dove scorrerà latte e miele, sappia che quella terra è mia, comunque non gli apparterrà mai. Niente ci appartiene, perché ovunque siamo, non possiamo che essere temporanei inquilini. Il nostro destino è quello di cercare Itaca e augurarsi di non raggiungerla mai, combattendo i Lestrigoni che ci minano continuamente dentro –  così ammonisce C. Kavafis nella sua poesia, Itaca.

 

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