Riflettendo Sulla “Questione meridionale”

La questione meridionale attriceSant’Angelo le Fratte: W. L’Italia.it – Noi non sapevamo.

 

SANT’ANGELO LE FR. – Domenica 23 agosto, alle ore 21,30, in piazza S. Michele, si è esibita Egidia Bruno, nativa di Latronico, laureatasi al Dams di Bologna, diplomata attrice presso la scuola di arte drammatica di A. G. Garrone, oggi vive ed opera a Milano.Conservando nel cuore le sue radici meridionali, ha scritto, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia (2011) e messo in scena, un lungo monologo discorsivo sui risvolti dell’unità d’Italia, a partire dall’impresa garibaldina. Insomma, uno spettacolo sulla questione meridionale, dal titolo W. L’Italia.it – Noi non sapevamo. L’iniziativa è stata voluta dall’amministrazione comunale, costo del monologo circa 1600 euro. L’attrice ha raccontato alcuni episodi accaduti dopo l’unità che certo ci impongono inevitabili e drammatici interrogativi: ma  è valsa la pena fare l’unità d’Italia? L’Unità è stata voluta da noi o noi abbiamo subito la conquista del regno di Savoia?.  L’Italia può fare a meno di noi o noi siamo – come taluni ben pensanti dicono – solo “una palla di piombo per la nazione”? Non sono sfuggiti al racconto, intervallato solo da pochi canti popolari curati da F Breschi, il massacro dei civili, come quelli di Pontelandolfo e Casalduni, nel beneventano, avvenuto il 14 agosto del 1861 voluto dal gen. E. Cialdini, a servizio dei Savoia. I paesi vennero messi a ferro e fuoco tanto che tremila persone rimasero senza dimora. Gli abitanti furono accusati di aver difeso e parteggiato per il brigante Cosimo Giordano che si era, a sua volta, macchiato di violenza, avendo ucciso 45 soldati bersaglieri, mandati in perlustrazione.  Poi, lo stato d’assedio  messo in atto nel sud dalla legge Pica (1863): la fucilazione per tutti i contadini che venivano trovati in possesso di asce, coltelli, falcetti; per quelli che andavano nei boschi dove si nascondevano i briganti e altro. Noi cogliamo l’occasione per altre aggiuntive riflessioni.  Non possono essere dimenticati i tanti paesi rasi al suolo (se ne contano circa 54); non può  sfuggire alla memoria l’assedio conclusivo di Gaeta durato 102 giorni, conclusosi il 13 febbraio 1861 con una falcidia di esseri umani tra soldati piemontesi, borboni e civili (872 morti e 890 feriti). Le fucilazioni e le deportazioni continuarono anche dopo la resa, in via Napoli, sempre a Gaeta, là dove fino al 1960 c’era una Piramide, sotto cui giacevano 2000 scheletri, in una fossa comune le cui dimensioni erano 12 metri di profondità e 20 di lunghezza.  Gli scheletri (soldati borboni e alcuni bersaglieri) sono stati rimossi e seppelliti in un cimitero apposito e al posto del monumento che ne ricordava l’eccidio – tutti i gaetani lo chiamavano Piramide –  è stata costruita una palestra di forma ottagonale. Con l’unità le  industrie del sud furono smantellate come: il polo siderurgico di Mongiano in Calabria, le officine di Pietrarsa nei pressi di Napoli, i cantieri navali di Castellamare di Stabia e Gaeta poi l’industria manifatturiera di S. Leucio in provincia di Caserta col suo codice meritocratico voluto da Carolina d’Asburgo, moglie del re Lazzarone, morto nel 1859.  Da noi, sotto i Borboni, c’era una realtà economica assai significativa, ma c’era anche e ci sarà, negli anni avvenire, il latifondismo che alimentava e alimenterà il clientelismo e la mafia. I contadini cercavano disperatamente le terre che furono promesse da Garibaldi, durante l’impresa dei mille, perché aveva bisogno del consenso delle masse, ma che non avranno, anzi la risposta fu quella di Bronte (in Sicilia), altre fucilazioni di contadini, come risposta da parte di Bixio, alla loro impresa temeraria di occupare il paese, distruggere l’archivio comunale, uccidere il barone e la baronessa, il notaio, il curato, insomma la morte di 16 persone; da noi il protezionismo economico proteggeva la nostra debole economia che certo non poteva competere con quella di Francia, Inghilterra ma in ossequio alle quali, dopo l’unità, venne imposto il liberismo economico e questo ci affosserà ancora di più; Il cambio moneta (La lira con il valore metallico del carlino) ci renderà poveri perché i risparmi dei contadini saaraanno polverizzati; da noi non c’erano strade, né ferrovie, del resto Matera, prossima capitale della cultura, ancora sogna la ferrovia. La più disastrata fra tutte le terre del sud, la Basilicata. Da noi il brigantaggio(1860,1865), come risposta alla deludente unità d’Italia, come dire: si stava meglio con i Borboni. Cambiano i re, ma la nostra condizione rimane la stessa.  Cosi pensavano i contadini a cui, tra l’altro, il nuovo stato sottraeva i giovani per una lunga leva obbligatoria, (coscrizione, fu chiamata, fatta prima di sei anni, poi di tre e poi di due, legge La Marmora 1854 e, dopo l’unità, estesa a tutto il territorio nazionale). Venivano così sottratte braccia lavoro alla terra. Allora perché non darsi alla macchia, rimpinguando le fila dei briganti? Ma il destino dei contadini fu crudele: cercavano le terre e non le ottennero, allora pensarono di occuparle ma furono ostacolati dagli stessi garibaldini e dall’aristocrazia terriera; le terre della chiesa confiscate e quelle del demanio furono messe all’asta e le comprarono quelli che già stavano bene. La riforma agraria sarà approvata solo col  governo De Gasperi (1948 – 1953); bisognerà penare ancora per  un altro secolo. Duro destino fu quello dei contadini: se si schieravano con i piemontesi venivano falciati dai briganti, se si schieravano con i briganti venivano falciati dai soldati piemontesi. Allora è meglio abbandonare quella che fu considerata una “landa desolata” ed emigrare: “il sole tramonta ma poi ritorna, io parto e non voglio più tornare” – così cantavano  gli emigranti rassegnati e tristi in versione dialettale. “Mannaggia Cristoforo Colombo”, questa la maledizione che sintetizzava il malessere di un popolo che fu costretto a lasciare il suo paese, come dire che se Colombo non avesse scoperto l’America essi sarebbero rimasti nel loro caro paese di origine. Comincia così il grande esodo verso le terre straniere e questo destino per il sud è ancora una realtà, nonostante il petrolio. Anche oggi, soprattutto i giovani, partono e non vogliono più tornare, perché questa terra non offre speranze, non offre futuro. Già, ma la nostra borghesia cosa fece per difenderci?!….. Ma da noi non c’è mai stata una borghesia imprenditrice capace di contrattare con i poteri forti, ma solo una borghesia di intellettuali fatta di avvocati e medici.”Classi che vivono dunque di due calamità sociali: la lite e la malattia” “ – cosi F. S. Nitti. Dunque quale speranza da costoro? Ieri abbiamo combattuto contro i piemontesi ed abbiamo perso, oggi combattiamo contro le trivelle e, se la storia non si smentisce, perderemo ancora in nome del progresso o dello “sblocca Italia”. Il nostro sud, in nome del progresso, diventerà una pattumiera. Cosa rimarrà dei nostri paesi, delle nostre tradizioni, dei nostri santi, dei nostri castelli, della nostra gloriosa storia culturale?  Niente!…..Allora fu un errore l’unità? No, perché certi risultati si ottengono attraverso la sofferenza e il sangue. E’ ora che prendiamo coscienza delle nostre radici e facciamo sentire la nostra voce. Non possiamo neppure ignorare i vantaggi che l’unità ci ha portato, sollecitando le nostre popolazioni, quasi tutte analfabete, all’istruzione. Certo molto sangue poteva essere evitato, ma questa è la logica della storia, questa è la logica dell’eterogenesi dei fini di vichiana memoria. Poche persone ad ascoltare il  lungo monologo di Bruno. Anche questo dimostra che dei nostri problemi neppure noi ce ne curiamo e vorremmo che li risolvessero gli altri. Se l’Italia vuole decollare economicamente, quelli del nord non possono ignorare che per anni ci hanno sfruttati, non possono ignorare che avevamo un economia che hanno contribuito a distruggere; non possono ignorare che per il nostro tramite è passata la cultura greca; non possono ignorare che loro hanno un ineludibile bisogno di noi!…..

 

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