Lezione introduttiva su Kant – classe 5C – Liceo scientifico G. Galilei – Potenza –

 

Kant, complesso nel suo pensiero, il maggiore esponente dell’illuminismo ma anche l’iniziatore del romanticismo, nasce a Konigsberg, nella Prussia Orientale, nel 1724 e muore nella stessa città nel 1804. Di lui, gli studiosi dicono, e sono tutti concordi, che avrebbe operato una rivoluzione copernicana nell’ambito della conoscenza, facendo del soggetto il centro e l’artefice della stessa. Per capirne la portata rivoluzionaria, forse occorre dire come nella storia della filosofia sia stata considerata la conoscenza, problema ancora oggi molto dibattuto e non di semplice soluzione. Platone ritiene che l’anima altro non faccia che ricordare, attraverso un processo anamnestico dialettico, cercando di ricordare quanto ha  già contemplato nel mondo delle idee, prima di cadere nel carcere del corpo, per una colpa misteriosa. Le idee, dunque, per il pensatore hanno una realtà divina, eterna, perciò sempre identiche a se stesso; sono paradigmi e causa delle cose, quindi non assoggettate al tempo. Questa assolutezza renderebbe possibile l’etica e la politica e permetterebbe di uscire dalla prigionia della caverna, simbolo dell’ignoranza,  venendo alla luce del sole quale simbolo della verità. Per Aristotele, invece, la mente è, all’atto della nascita, una tabula rasa che bisogna riempire, attingendo dalle sensazioni e astraendo da esse dall’hic et nunc,  cogliendo così quelle idee universali e oggettive, da qui l’espressione: razionalismo oggettivo. S. Agostino, sulla scia di Platone,  del neo- platonismo e della teologia cristiana, considera le idee come illuminazione di Dio, in questo contesto, l’anima sarebbe uno specchio e di fronte alle verità l’uomo avrebbe la possibilità di dire sì o no, a seconda  dell’adesione o meno a certe forme di rivelazioni. Nell’Umanesimo – Rinascimento, i pensatori naturalisti, nell’ambito del vitalismo, considerano la conoscenza come una sorta di intuizione di natura sensibile. Io apprendo me stesso trasformato dalle cose a cui l’uomo  partecipa, perché tutte le creature dell’universo sono vive e si compenetrano. Cartesio, quando parla della res cogitans, e quindi delle idee chiare e distinte, diverse da quelle avventizie e fattizie, sostiene che esse sono innate alla ragione medesima e questa  è di natura spirituale, immortale, libera da ogni forma di determinismo meccanicistico a cui, invece, è sottoposta la res exstensa. Queste idee avrebbero un carattere a priori e sono universali,  ci consentirebbero di conoscere il mondo esterno, compreso il nostro stesso corpo. A garantirne la veridicità, è Dio stesso la cui esistenza, secondo Cartesio, può essere dimostrata con massima chiarezza più della stessa materia. L’empirismo inglese, invece, ritiene che la conoscenza derivi dai sensi e solo da essi. Le idee altro non sarebbero che frutto di associazione di idee semplici. In questo contesto, D. Hume nega addirittura che ci possa essere un legame di connessione necessaria tra causa ed effetto. Da queste premesse non diventa possibile nessuna forma di ricerca scientifica, perché viene meno ogni possibile relazione tra causa ed effetto. Ciò che chiamiamo necessario o universale altro non sarebbe che consuetudine e frutto di abitudini. Dunque non possiamo parlare di Dio, né di verità scientifiche e neppure di identità dell’uomo che altro non diventa che un fascio di impressioni che muta nel tempo continuamente.  Leibniz, pur sostenendo che la conoscenza derivi dai sensi, come per Aristotele, ammette che ci sia qualcosa di a priori, di qui l’espressione innatismo virtuale, vale a dire la ragione con le sue leggi imprescindibili è capace di ordinare in modo logico il materiale che deriva dai sensi. Dopo così lunga odissea del pensiero, si colloca la rivoluzione di Kant, assimilabile, per analogia, alla rivoluzione copernicana. I dati empirici ci derivano dall’esterno, ma chi dà forma ai dati esperienziali sono le forme pure della sensibilità, spazio e tempo, e poi le categorie dell’intelletto, ovvero la ragion pura, rendono possibili i giudizi sintetici. Non sono le cose ad avere una forma, ma siamo noi a dare forma alle cose. La verità è frutto dei giudizi sintetici che sono a priori e a posteriori. Solo i giudizi sintetici a priori danno al sapere carattere di universalità e necessità. Ma diciamo subito che noi delle cose non abbiamo conoscenza dell’essenza, ovvero noumeno, ma solo del fenomeno. La conoscenza fenomenologica non è libera ma deterministica, ovvero conosciamo e non possiamo non conoscere il nostro modo di conoscere le cose.

15 Settembre 2015

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