Il culto di San Michele nella valle del Melandro

 

 

Introduzione

 

Il culto dell’arcangelo Michele, nome che deriva da Mi – Ka – El che, in lingua aramaica vuol dire, traslitterando, Quis ut deus, risulta essere molto antico e si perde nella notte dei tempi. La figura di questo arcangelo è trasversale, perché è presente nella teologia giudaico – cristiana, nell’esegesi ebraica e nella teologia islamica. Si legge nell’Apocalisse di San Giovanni come ci sia stata una rivolta in cielo, perché Lucifero (portatore di luce), compagno di Michele, si ribella a Dio e pertanto questi viene ricacciato dall’arcangelo Michele nell’inferno con il rimprovero eterno: quis ut deus? Dunque Michele si presenta come archi-stratega, cioè principe delle milizie celesti. Per la tradizione ebraica, egli viene presentato come difensore del popolo oppresso e ne riconosce la sua rettitudine; per  il Corano san Miche, insieme a Gabriele, sono i maestri per eccellenza di Maometto. San Michele, nel mondo bizantino, viene rappresentato con gli abiti di corte, lo Indor, e viene considerato come il medico delle anime in paradiso. Nel mondo occidentale, invece, l’iconografia lo rappresenta come un soldato con la spada, in certi casi; in altri, con la lancia in pugno, mentre infilza il drago, Satana, posto sotto i suoi piedi; poi l’elmo in testa e il bilancino (elemento egizio – islamico) nella mano sinistra per pesare le anime del carico dei loro peccati (la psicostasia), al momento del giudizio.  Nel 313, l’imperatore Costantino, dopo la battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio (312 d.c.), cioè contro il paganesimo, vuole costruire una basilica a Costantinopoli in onore di San Michele,  il Michaelion. Nel 490, l’arcangelo Michele appare in una grotta sul monte Sant’Angelo, sul Gargano, in Puglia. Da questo momento in poi, il santo viene associato alle grotte, all’acqua mentre prima d’ora, veniva considerato come colui che conduce i soldati di Costantino alla vittoria contro i pagani, ovvero i peccatori, cioè il principe delle milizie contro il male. Ma cosa accade in Italia dopo la caduta dell’impero romano d’occidente? Ondate barbariche, confusione ed anarchia, contadini che cercano protettori, diventando clientes o sottoposti dei grandi proprietari terrieri.  Ci vuole proprio un santo guerriero per proteggere e  difendere i più deboli. E chi se non l’arcangelo Michele? Nel mese di agosto del 590, a Roma scoppia un’epidemia di peste, si pensa di svolgere una processione verso santa Maria Maggiore, partendo dal Mausoleo di  Adriano, guidata dal vescovo Gregorio, il futuro papa Greorio Magno, questi guarda in alto e sulla mole  vede l’Arcangelo Michele che si rinfodera la spada, segno che le preghiere della gente sono state ascoltate e il mausoleo verrà chiamato, per questo evento, Castel Sant’Angelo e, in alto, vi verrà posta una gigantesca immagine del Santo e muterà nome, Castel Sant’Angelo.  A partire dal 6° secolo, con la conversione graduale dei Longobardi, il culto di san Michele avrà larga diffusione in quasi tutta Italia, perché il principe delle Milizie celesti viene visto somigliante al dio Odino: il Dio della guerra, il dio della vittoria, della poesia e della speranza.  Nel settimo secolo, i pastori pugliesi,  nella transumanza per la  Maiella, negli Abruzzi, a primavera, e, poi, nel ritorno verso la marina, a settembre, portano con sé il culto di San Michele quale difensore contro i ladri, i lupi e le malattie del gregge. Nascono così anche negli Abruzzi chiese, monasteri, e vengono dedicate grotte in onore del santo, lungo le vie della transumanza. Durante tutto il Medioevo si sviluppano notevoli flussi di pellegrini in cerca di purificazione, lungo una via internazionale, partendo da: Skellig Michael – Repubblica Irlandese; St. Michael’s Mount in Cornovaglia, Inghilterra sud occidentale; Mont Saint Michel, regione Normandia, Francia; La Sacra di San Michele, Val di Susa, in Piemonte; San Michele, Monte Sant’Angelo, regione Puglia; Monastero di San Michele di Simi, in Grecia, a seguire poi verso Gerusalemme. Anche i pellegrini provenienti dalle aree interne, come dalla Basilicata, si uniscono ai pellegrini sulla rotta principale, facendo tappa all’Angelo di Puglia. Dal concilio di Trento, il nome del santo viene inserito nel confiteor. Nel 1656, altra terribile pestilenza scoppia in diversi punti dell’Italia. Il culto del santo si diffonde ulteriormente e in alcuni centri diventa patrono sostituendosi ad altri santi considerati non adatti all’emergenza del momento. Tutti questi fattori concorrono alla diffusione massima del culto di San Michele in Europa e in Italia.

 

 

 

 

 

 

Il culto di San Michele a Sasso di Castalda

 

Sasso di Castalda, uno dei paesi più suggestivi della regione Basilicata  e della valle del Melandro, per il suo borgo antico carico di memoria storica, il sentiero Frassati che si inerpica sulla montagna che lo sovrasta, l’oasi del cervo, il bosco di faggio di alto fusto chiamato la Costara e poi la chiesa di San Michele nei pressi della sorgente del Melandro. Questa fu edificata tra il 1717 e il 1721 e fu anche creata una fondazione nel 1731 da parte di Don Donato Anzani con una spesa pari 175 ducati. Il sito originale dove fu costruita si trova ad un centinaio di metri più su dell’attuale ubicazione, proprio vicino alle sorgenti del fiume Melandro. Fu infatti spostata negli anni 50 per i lavori di captazione delle sorgenti. Alla venerazione del santo, in questa cappella, si legò il rito della transumanza. L’8 maggio la statua in alabastro nero veniva portata su in montagna, insieme con le mandrie; il 29 settembre si riportava giù in paese. La statua è stata trafugata negli anni 70, quella attuale arriva dalla chiesa laicale di San Michele dei Greci in Brienza che trovasi a ridosso del castello Caracciolo. Nel 1732 la chiesa era proprietaria di una vigna in C/da Piana la Pietra, una camera nel casale per ospitare i pellegrini e un gregge di settanta capi. Nei pressi, la grande e maestosa faggeta della Costara, dove trovasi il  grande faggio di San Michele, protetto con legge regionale. Il tutto ricade nel parco nazionale della val d’Agri – Lagonegro. Qui il culto del santo si sposa  con il maestoso bosco di alto fusto, le sorgenti d’acqua del Melandro e ricorda il rito della transumanza, ormai spento perché è quasi del tutto finita la pastorizia.

 

 

 

 

 

Il culto di san Michele a Brienza

 

La chiesa di San Michele dei Greci fu costruita sicuramente intorno al 1400, nel rione più antico di Brienza, chiamato anticamente “Sant’Angelo seu li Greci”, sul massiccio dove si erge il castello Caracciolo, sul versante nord – orientale. Qui vivevano gli abitanti più poveri del comune, ma anche una comunità di profughi arrivati da regioni più a oriente della Grecia. Vivevano del tutto indipendenti dal resto del paese. Insomma una storia di mancata integrazione. Il gruppo di profughi aumentò dopo il 1453, a causa della caduta di Bisanzio ad opera degli ottomani. Alcuni si sentirono perseguitati in patria e cercarono fortuna altrove. In questa chiesa si ufficiavano celebrazioni col rito greco – Ortodosso. Furono proprio questi profughi che dettero origine al culto di San Michele portato dall’oriente già a cavallo tra il XIII e XIV secolo. Si tratta di una cappella laicale ad una navata, pianta rettangolare, priva di decorazioni di rilievo, vi si trova solo un affresco di una madonna a seno scoperto, la facciata principale piatta e con tetto ad embrici. Nel 1715 la chiesa, trovandosi in uno stato di abbandono e fatiscenza, fu ristrutturata a proprie spese da don Gaetano Addobbato  per la sua devozione a san Michele. La statua che si venerava fino 1941 era piccola ma molto pesante, in cemento nero. Spogliata, nel tempo, dai suoi arredi sacri, perché venduti agli antiquari, fu portata nella chiesa di San Michele di Sasso di Castalda negli anno 70, per volere di Don Beniamino Cirone, allora parroco di Sasso, oggi parroco di Brienza.

 

 

 

 

 

 

 

Il culto di San Michele a Sant’Angelo le Fratte

 

Sant’Angelo le Fratte è un aggraziato borgo che trovasi alle pendici del monte Carpineto, altitudine 550 mt. sul livello del mare. A valle, scorre il fiume Melandro, a cui è, in gran parte, legata la storia e l’economia del paese. Sulle due sponde del fiume i terreni venivano coltivati con ortaggi, frutteti di ogni genere, sul lato sinistro i mulini ad acqua e lungo le rive del fiume una lunga via mulattiera che metteva in collegamento il borgo di Sant’Angelo con  Brienza, Savoia di Lucania e Vietri. Già ai tempi di Federico 2, (1214/50), il fiume Landro, oggi Melandro, veniva presidiato da una guarnigione di soldati per riscuotere il pedaggio necessario per l’attraversamento. La guarnigione sostava nel vecchio maniero che si trovava e si trova, anche se alterato e modificato nel tempo, a Savoia di Lucania. Lungo il Fiume Melandro, partivano i pellegrini per la Madonna di Viggiano, una settimana prima dei suoi festeggiamenti (1° domenica di settembre) da Sant’Angelo, Satriano, Caggiano oppure quelli che si recavano a Brienza per sbrigare questioni di natura giudiziaria o semplicemente andavano al mercato o a fare delle committenze come quella di cardare la lana che si produceva abbondante nei nostri territori; era la strada attraverso la quale venivano a Sant’Angelo pellegrini devoti di San Michele Arcangelo. Al Melandro erano legati i ritmi della pastorizia: nel mese di maggio e nel mese di settembre venivano portate dai monti alla bagnatura le pecore e prepararle alla tosatura. Il primo nucleo di Sant’ Angelo è sorto nel 1100 intorno ad una cappella dedicata all’angelo Michele.  Essa sorgeva in un luogo non ben precisato dai documenti, ma sicuramente alle pendici  della montagna Carpineto, tra anfratti rocciosi e copiosi ruscelli d’acqua e su un territorio fatto di caverne sotterranee, di recente riscoperte e visitate, ove scorre acqua abbondante con notevole presenza di stalattite e stalagmite. Da qui deriva il toponimo di Sant’Angelo. Intorno a questa cappella, nasce il primo nucleo di abitanti, quasi tutti fuggitivi dalle contrade circostanti, alla ricerca di un luogo sicuro e naturalmente protetto. Nel 1266, cioè dopo la battaglia di Benevento, dove è stato sconfitto Manfredi, figlio naturale di Federico 2, perché autoproclamatosi re d’Italia nel 1258 contro il parere della chiesa romana, arrivano in Italia meridionale gli Angioini e il territorio di Sant’Angelo viene dato al capitano di Carlo 1  d’Angiò, Nicola Janville, col titolo di conte. Nella cappella che via via diventa sempre più centro di pellegrinaggio e di aggregazione di fuggiaschi e soldati disertori, si fece seppellire il nipote di Janville. Segno questo di quanto fosse diventata importante questa cappella nell’area. Tracce di questa cappella si trovano fino al 1888, dopo più nulla. Nel 1718, anno della costruzione della fontana comunale a valle del paese, in C/da taverna, i fedeli vollero dedicare a San Michele un epigrafe con relativa immagine scolpita su pietra: “Divo Michaeli Arcangelo”. Sempre agli inizi del 700, mentre era vescovo F. S. Fontana, fu commissionata la statua di San Michele allo scultore di Baronissi, in Campania, Nicola Fumo, l’autore della celeberrima scultura di Cristo caduto (Chiesa di San Genesio a Madrid); e in occasione del “disastroso e spaventevole terremoto –  come si esprime il Giallorenzi nella sua monografia dedicata a Sant’Angelo – del 16 dicembre del 1857, ore 17,00, avendo la chiesa madre subito gravi danni, e, temendo che la statua fosse in pericolo, questa fu portata nel caprile dei signori Mastrangioli, nei pressi dell’attuale cimitero. Il 24 dicembre del 1878, in seguito a continue e abbondanti piogge, parte dalla Pietra del Cerreto, subito dopo nominata Pietra di San Michele, sulla strada che porta all’omonima contrada, una devastante frana  mette in ginocchio l’agricoltura e il ponte sul fiume Melandro a Valle. Un movimento franoso di vaste proporzioni, per fermare il quale ci vuole solo un miracolo. Per questa ragione fu potata in processione, con solenni riti religiosi e costante preghiere, per sette giorni la statua di San Michele.  Si tramanda che la frana al settimo giorno si sia fermata. Nel settecento, ottocento e anche per tutta la prima metà del 900, fino agli anni settanta, si è sviluppato con costanza un fervente e significativo flusso di pellegrinaggio di purificazione, prima, a piedi, poi, in tempi recenti, con pullman, dalla valle del Melandro verso l’Angelo di Puglia, calpestando il seguente percorso: Valle del Melandro, Potenza, Piano del Conte nei pressi di Filiano, Ripacandida, Venosa, Lavello, Stornara, S. Giovanni Rotonda, Monte San Michele. I cittadini in tempi lontani, hanno voluto l’immagine del santo sul gonfalone del comune, di recente, in suo onore sono stati dedicati al Santo due murali e una gigantesca statua di bronzo che svetta in alto alla piazza del paese a protezione della comunità.

 

Conclusioni

 

Nella prima metà del 700 si verificarono diverse coincidenze storiche nella valle del Melandro. Eccole: a Sant’Angelo nel 1718, fu costruita a valle del paese la fontana che serviva per lavare e  approvvigionarsi di acqua potabile, portata con barili di legno in casa, e fu dedicata   al “Divo Michaeli Arcangelo”; nello stesso periodo fu commissionata l’attuale statua di san Michele allo scultore N. Fumo; A Sasso di Castalda fu costruita tra il 1717 e il 1721, nei pressi delle sorgenti Melandro; nel 1715 venne restaurata e aperto al pubblico la chiesa laicale di Brienza, dedicata a San Michele.  Perché tanto fervore? Molti gli eventi che hanno determinato tanta e diffusa devozione per il Santo. Nel 1656 una devastante epidemia di peste dimezzò la popolazione della valle, producendo devastazioni e danni economici notevoli per un lungo periodo di tempo. Medicinali inesistenti, la speranza di sopravvivere molte bassa, di qui la necessità di un protettore; La rifeudalizzazione, ovvero nuova feudalità che sostituisce la vecchia, i ministeriales che subentrano ai vecchi signori, diventano molto più esosi nel pretendere i fitti, e si dimostrano così ingordi al punto di sottrarre i beni anche alla chiesa, aprendo contenziosi infiniti; la pastorizia nel periodo era molto diffusa, di qui la transumanza e la mini – transumanza; la tosatura delle pecore e la vendita della lana coincideva col mese di maggio e il mese di settembre, sono i mesi  in cui si sono sempre svolti i solenni festeggiamenti in onore di San Michele. E poi i terremoti che si ripetono a ritmi costanti, le frane frequenti, vista l’instabilità geologica del territorio, non fanno altro che alimentare il culto e la devozione al principe delle milizie celesti. Queste potrebbero essere le giustificazioni antropologiche del culto e dei continui e costanti pellegrinaggi all’ “Angelo di Puglia”, espressione corrente tra la nostra gente.

 

 

 

 

 

 

 

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