Il mito della caverna – Platone –

Il mito della caverna viene raccontato da Platone nel  libro 7 della Repubblica. Intanto va subito precisato quale sia l’ideale politico del pensatore. Egli rimane particolarmente scosso per la condanna a morte del suo maestro Socrate. A condannarlo, infatti, un regime democratico, ancorato al passato e senza nessuna apertura per il futuro, che fa seguito alla drammatica esperienza dei trenta tiranni, ad Atene. Socrate viene condannato a bere la cicuta e questi, pur sapendo di essere innocente, non vuole sottrarsi al verdetto dei giudici, essendogli stata offerta la possibilità di poter fuggire dalla città, perché considera le leggi essere cosa sacra e che, se anche il verdetto è ingiusto, è necessario comunque obbedire alle stesse onde poter dare l’esempio alle giovani generazioni di quanto sia importante il rispetto delle tradizioni e  delle istituzioni. Platone rimane scosso e immagina così il suo stato ideale, come stato etico, quale incarnazione dei valori sacri, inalienabili ed eterni per la pacifica convivenza dei cittadini. In questo stato non esiste la proprietà privata, perché fonte di conflitti, il cittadino vive per lo stato e non viceversa. La società è divisa in classi e ciascuna deve assumere un compito da svolgere per la salute e la difesa della polis. Quelli che sono dotati di un’anima irascibile devono difendere lo stato e la loro virtù che qualifica il loro status, è il coraggio; quelli che sono dotati di un’anima concupiscibile devono produrre quanto occorre al sostentamento dei cittadini, la loro virtù è la temperanza, e poi i saggi devono servire i cittadini, dare leggi giuste e farle rispettare alla luce della bios theoretkcos. Ecco il racconto del mito: immaginiamo che dei prigionieri siano rinchiusi in una caverna e costretti a guardare il fondo della stessa, essi vedrebbero scorrere sulla parete delle ombre in continuo movimento e in continua dissolvenza. I prigionieri sono convinti che quelle ombre siano la verità. Ma, se per caso, si girano, e, per questo, ci vogliono sempre i maestri sapienti, vedrebbero al di sopra di un muretto, che separa l’interno dall’esterno della grotta, delle statue in movimento,  ma se i prigionieri escono dalla grotta si accorgerebbero che a muovere le statue ci sono gli uomini che sono nascosti dal muretto e scoprirebbero che, all’ingresso della stessa, c’è anche un grande fuoco e, in alto, nel cielo, splende un sole raggiante. Il sole è causa del calore del fuoco, il fuoco rende possibile il movimento degli uomini con le statue in testa e, nello stesso tempo, la proiezione sul fondo della caverna delle ombre delle statue.  Questo racconto, semplice, è carico di significati. Se ne possono individuare, almeno, quattro: uno metafisico, il secondo politico, il terzo gnoseologico e il quarto etico – teologico. Per il pensatore esiste una dualità metafisica: il mondo delle idee valore, eterne, sempre identiche a se stesse, ma soprattutto divine che diventano causa dei nostri giudizi, modelli ideali per le nostre leggi, per le nostre scelte e anche  modelli di bellezza del cosmo. La metafisica, dunque, si presenta alternativa al relativismo, come quello dei sofisti, che potrebbe diventare causa di anarchie, di tirannie e soprattutto di scelte esasperate che  potrebbero rendere difficile la convivenza sociale e civile. Poi abbiamo il mondo della Chora, diveniente, proprio come il il panta rei di Eraclito, mai identica a se stessa, anzi, perché sia possibile la vita è necessario il fluire e la continua trasformazione ma non l’annullamento delle cose. Ma, da questo mondo fenomenico mutevole non possiamo mai attingere verità assolute o valori capaci di orientare le nostre scelte. Rimanendo ancorati al mondo fenomenico, al massimo, ci possiamo accontentare di vacui fantasmi (eikasia) o credenze (pistis). A noi, invece, interessa la conoscenza delle cause prime, il sapere matematico alla luce del quale il cosmo è stato modellato dal Demiurgo e il sapere etico che regoli le nostre azioni. Le idee, cioè le essenze, –  eidos –  sono il Bene assoluto, il giusto assoluto, il bello assoluto, il vero assoluto che in qualche modo causano il mondo fenomenico, perché questo si presenterebbe come imitazione  (mimesi), partecipazione  (metessi) e manifestazione (parusia) di quel mondo eterno e incorruttibile. Mentre i naturalisti cercarono il principio dell’universo nell’universo (acqua, aria, terra, fuoco, semi, atomi, apeiron), Platone, con la seconda navigazione, ovvero con la metafisica, cercò i principi fuori dell’universo, tentando di spiegare non l’universo con l’universo ma l’universo col meta – universo.

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