Quasi sempre, scegliamo di non scegliere – S. Kierkegaard –

Ogni nostra scelta è la tomba delle nostre possibilità. Noi non siamo massa, ma singoli che si scoprono di essere liberi di progettare il proprio destino, liberi di scegliere fra infinite possibilità. Ognuno di noi ha, di fronte a sé, infinite possibilità, perciò, scegliendo una possibilità, annulla tutte le altre. Peggio, se fa finta di scegliere, sceglie di non scegliere, perché ha paura di sbagliare. La paura ci immobilizza nelle nostre indecisioni, facendoci fare,  così, l’esperienza della paralisi, rimanendo ancorati al punto zero e rimandando, sine die, ogni possibile decisione. Noi, continuamente, ci troviamo davanti a un bivio di fronte al quale urgerebbe la dialettica del salto, aut- aut, non della necessità, et – et,  come vorrebbe Hegel. Non scegliendo, noi neghiamo la nostra stessa natura che è fatta di libertà quindi di scelte e ci lasciamo così condurre dagli eventi, dalle mode, dalle consuetudini sociali, dai conformismi, peggio dalle passioni che tendono ad esaltare il nostro narcisismo e la nostra volontà di potenza. Siamo sempre diversi e crediamo  di essere originali, in realtà inseguiamo solo la strada dei conformismi, delle consuetudini; non scegliendo, in ogni circostanza, ci costruiamo una maschera per apparire sempre diversi, sempre originali e ci convinciamo di essere unici, addirittura  artisti esclusivi. Non scegliendo, conduciamo  la vita come il Don Giovanni che si consuma e si industria a cambiare identità a seconda delle circostanze, volta alla seduzione, al potere, al perbenismo, al successo e poi scopriamo che la nostra vita è costellata di contraddizioni, di fallimenti e soprattutto facciamo l’esperienza dello scacco matto:  gli altri non ci pigliano sul serio,  non ci stimano e ci lasciano soli. Si apre davanti a noi la strada della disperazione. Questa rappresenta il vicolo cieco dello stadio estetico. La disperazione può relegarci ai margini della società, condurci ad un’esistenza anonima, senza identità, come uno qualunque, mentre immaginavamo, come si diceva prima, di essere unici e originali. Ma la disperazione può anche farci aprire gli occhi e allora si  potrebbe aprire davanti a noi un’altra possibilità, lo stadio etico che esclude lo stadio estetico: lo stadio della noia, lo stadio dei vaghi fantasmi. Ma anche in questa situazione, l’uomo rischia di assuefarsi alle regole morali, rispettarle fino all’inverosimile, senza esserne convinto. Di qui il sentimento dell’angoscia, questo male profondo che ci restituisce continuamente alle nostre debolezze, alle nostre insicurezze, alle nostre fragilità, al nostro continuo bisogno di perdonare e di essere perdonato. Il modello di questo stadio è il marito fedele che, mentre resta fedele alla donna per dovere etico, non sa se veramente ama sua moglie. Il terzo stadio, ovvero quello religioso, ci restituirebbe, secondo Kiekegaard,  alla piena e autentica libertà, perché ci aprirebbe le porte verso l’infinito, verso Dio, verso una meta e un modello più grandi di noi. Dio è infinito e, a voler colmare l’abisso che ci separa, tra noi e lui, abbiamo una montagna di possibilità, un’infinità di piccole scelte che ci avvicinerebbero all’infinita grandezza di Dio. Le scelte, però, ci devono trascendere, senza mai raggiungere definitivamente la meta, perché, se questa fosse raggiungibile, non sarebbe degna di essere inseguita. La meta è affascinante, proprio perché ci trascende continuamente e compie il miracolo di restituirci alla consapevolezza della nostra vera natura di essere fragili creature, “canne sbattute dal vento”, come si esprimeva B. Pascal nella sua meta filosofia: è  proprio scoprendo la mia fragilità, che avverto il bisogno di Dio. Seguire questa strada è come inseguire l’assurdo, perché bisogna ragionare non con una logica umana, ma annullarsi per schierarsi dalla parte di Dio. Modello di questo stadio  è Abramo, mentre sta per immolare Isacco, per ordine di Dio. Certo secondo la nostra logica, immolare il proprio figlio è assurdo,  secondo l’etica è violenza, ma non lo è se si sceglie il punto di vista di Dio. La libertà per Kant è un valore positivo che rende possibile la morale; per il pensatore danese, la libertà è una malattia che non ci fa stare bene soprattutto con noi stessi, per i sentimenti contrastanti che essa genera: essendo  liberi dobbiamo scegliere e, quando scegliamo, abbiamo sempre paura di sbagliare ed, avendo paura, scegliamo di non scegliere. Secondo Kierkegaard la fede è l’unica possibilità per l’uomo per riscattarsi dalle finitudini esistenziali, perché l’unica che ci permetterebbe di trascenderci senza legarsi alle determinazioni del mondo, perché, dopo tutto, davanti a noi, si aprono solo due strade: farsi Dio o schierarsi dalla parte di Dio (Timore e tremore). Forse conviene la seconda ipotesi per non scoprire, ad un certo punto della nostra vita, un cimitero di delusioni e di fallimenti, una montagna di piccoli e grandi crimini oppure una lunga serie di omissioni, dovuti solo alle nostra responsabilità.

 

 

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